Si è spento lo scrittore Raffaele La Capria, autore di “Ferito a Morte”. Avrebbe compiuto 100 anni ad Ottobre.
Raffaele La Capria è stato uno dei maggiori esponenti del nostro 900′ letterario italiano, una personalità in grado di imporsi al grande pubblico, tramite le sue incredibili capacità di adattarsi ai cambiamenti formali che hanno interessato la Letteratura Italiana, sia dell’epoca che dei giorni nostri.
Il suo capolavoro “Ferito a Morte”, rappresenta uno degli esempi di maggior spicco, principalmente per la lingua utilizzata, come ben evidenziato dallo stesso autore, nell’ambito di una conferenza stampa, tenuta dallo scrittore alla Sorbonne di Parigi, intorno al 28 Novembre del 2003. In quell’occasione, La Capria spiegò: “Fanno parte di questo romanzo l’applicazione di tecniche narrative come il flusso di coscienza o monologo interiore, la concezione del tempo sincronica invece che diacronica, la polifonia, la minore importanza della psicologia o della trama, o del personaggio, perché appunto è il contesto che prevale, e cioè la struttura e il linguaggio”.
L’amore per la scrittura di Raffaele La Capria
Il suo “Ferito a morte”, fu il secondo romanzo a seguito dell’esordio con “Un giorno d’impazienza”, pubblicato dallo stesso Bompiani. L’opera gli concesse la vittoria al Premio Strega del 1961. A queste prime opere fecero poi eco una serie di romanzi e saggi, insieme a libri come “Fiori giapponesi”, “Amore e psiche”, “L’estro quotidiano” e molti altri. La Capria però non si fermò solo alla scrittura di romanzi, il suo amore per la scrittura si espanse anche alle sceneggiature filmiche, come “Le mani sulla città” e “C’era una volta” ect. Prolifica anche la sua collaborazione con la Comencini.
Napoletano d’origine, si trasferisce a Roma. Ma è l’amore per la napoletanità a travolgerlo constantemente, facendo da traino fondante della sua produzione letteraria. Nonostante ciò, La Capria cerca comunque di affrancarsi da una relegazione geo-culturale a tratti troppo marcata: “Uno scrittore per il semplice fatto di essere nato a Napoli viene definito ‘scrittore napoletano’, e l’aggettivo napoletano gli viene imposto come un marchio di fabbrica, tutto quello che scrive è made in Naples. Io però dico – senza voler nulla rinnegare della mia identità – che i miei libri, anche quando parlano di Napoli, parlano prima di se stessi, cioè di come sono scritti, e poi di Napoli”.